- Cenni generali.
È naturale chiedersi, in primo luogo, quale sia la natura della responsabilità del medico nell’esercizio della sua attività professionale.
L’art. 1218 del Codice civile, norma cardine della responsabilità contrattuale nel nostro ordinamento, prevede che: “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”[1].
Viceversa, l’art. 2043 c.c., in tema di neminem leadere, dispone quanto segue: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”[2].
Orbene, premesso questo breve distinguo tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, entrando nel focus della “colpa” medica, appare opportuno sottolineare come essa nasca alla stregua di responsabilità extracontrattuale, salvo che il danneggiato abbia posto in essere un contratto con il medico danneggiante. Purtuttavia, la giurisprudenza degli anni ’90, mediante un atteggiamento di favore verso il paziente-danneggiato, elaborò nel 1998 la teoria del c.d. contatto sociale qualificato. Nello specifico, stante l’affidamento riposto dal singolo paziente nelle cure del medico e, correlativamente gli obblighi di quest’ultimo alla cura della vita e dell’integrità fisica del paziente, per il caso di inadempimento della prestazione sanitaria, il medico rispondeva di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., in solido con la struttura sanitaria. Si rammenta, difatti, che a’ sensi dell’art. 1173 c.c., “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, e da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico”[3].
Sulla scorta di tale visione, si è diffuso nel nostro ordinamento il fenomeno della c.d. medicina difensiva, ossia di quegli atteggiamenti degli operatori sanitari, posti in essere al solo scopo di minimizzare il rischio di contenziosi legali futuri. La medicina difensiva, attiva e passiva, è un fenomeno che ha conosciuto una rapida ascesa, parallela all’aumento del contenzioso legale per malpractice medica. Sostanzialmente, si verifica quando il medico prende decisioni basandosi maggiormente sulle possibili conseguenze giudiziarie piuttosto che sulle effettive necessità del paziente, con conseguente inutile spendita di denaro pubblico ed aggravio per il Sistema Sanitario Nazionale.
In questo contesto, il Legislatore è intervenuto dapprima con il c.d. Decreto Balduzzi, il D.L. 158/2012, poi con la Legge Gelli-Bianco, n°24/2017, che disciplina i profili di responsabilità civile e penale del medico.
La portata innovativa della Legge Gelli-Bianco, sul piano civilistico, può essere riassunta in tre punti:
- in particolare, l’art. 7 della legge prevede che la struttura sanitaria risponde in via contrattuale ai sensi degli artt. 12178 e 1228 c.c., mentre la responsabilità dell’esercente è extracontrattuale, salvo che egli abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente;
- viene posto un limite al diritto di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico, salvo che egli abbia agito con dolo o colpa grave: infatti, se il paziente danneggiato agisce in giudizio esclusivamente contro la struttura sanitaria, la struttura stessa potrà esercitare il diritto di rivalsa nei confronti dell’operatore sanitario esclusivamente entro l’anno e solo dopo aver risarcito il danneggiato;
- viene data maggior rilevanza alle “best practice” clinico-assistenziali, in presenza di linee-guida obsolete.
- L’onere probatorio.
Sostanzialmente, la Legge n. 24/2017 ha inquadrato la responsabilità della struttura ospedaliera quale responsabilità contrattuale, in ragione dell’avvenuta stipulazione del contratto atipico di spedalità, mediante l’acquisizione del consenso, anche implicito – si pensi all’accettazione – del paziente. Dall’altro lato, si assiste ad una “decontrattualizzazione” della responsabilità del medico, la cui responsabilità è di natura extracontrattuale, salvo l’ipotesi della sussistenza di un pregresso contratto d’opera professionale stipulato con il paziente.
Da ciò, derivano una serie di conseguenze sul piano probatorio in capo al paziente che agisce in giudizio contro l’operatore sanitario, in quanto lo stesso dovrà dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie con termine prescrizionale quinquennale del relativo dritto al risarcimento del danno.
Ebbene, nell’ambito della responsabilità medica, il paziente-danneggiato che agisce in giudizio contro il sanitario, dovrà dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie illecita, ai sensi dell’art 2043 c.c.; quindi, dovrà provare la sussistenza del nesso eziologico sia sotto il profilo della causalità materiale – ossia la discendenza dell’evento lesivo dalla condotta posta in essere dal sanitario – sia sotto il profilo della causalità giuridica – ossia la individuazione delle singole conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’evento.
All’uopo, la Giurisprudenza della Corte di Cassazione ha di recente rammentato che “in tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali, è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito, il nesso di causalità, secondo il criterio del più probabile che non, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all’agente”[4].
E, ancora “nei giudizi dii risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, provare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui si chiede il risarcimento, onere che va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda dev’essere rigettata”[5].
- Il consenso informato.
L’art. 1 della legge n°219/2017, stabilisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”[6]. Il consenso è espresso in forma scritta o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo permettano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Esso è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. Il paziente, infatti, “ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informato in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati”[7].
Il consenso può sempre essere revocato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali[8].
L’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce una prestazione diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, “dal cui inadempimento deriva un danno-conseguenza costituito dalla privazione del diritto di disporre di sé stesso a causa dello svolgimento, sulla propria persona, di interventi non assentiti”[9].
È bene evidenziare che il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le conseguenze di un atto terapeutico necessario ed eseguito secundum legem artis, ma senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli, richiede l’allegazione, da parte del paziente, del relativo pregiudizio. Il paziente sarà, dunque, onerato della prova del nesso causale tra inadempimento e danno[10].
- Le infezioni nosocomiali.
Le infezioni acquisite in ospedale sono genericamente conosciute come “infezioni contratte a causa del ricovero” in una struttura sanitaria. Nello specifico, la Circolare del Ministero della Sanità n°52/1985, chiarisce che trattasi di “un’infezione di pazienti ospedalizzati, non presente né in incubazione al momento dell’ingresso in ospedale, comprese le infezioni successive alla dimissione, ma riferibili per tempo di incubazione al ricovero”[11].
Si fa riferimento, quindi, alle infezioni non presenti clinicamente – né in incubazione – al momento dell’ingresso nella struttura, e che si rendono evidenti dopo 48 ore o più dal ricovero, nonché quelle successive alla dimissione, ma causalmente riferibili, per tempo di incubazione, agente eziologico e modalità di trasmissione al ricovero medesimo[12].
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, tra le obbligazioni pacificamente a carico della struttura sanitaria rileva quella di “garantire l’assoluta sterilità non soltanto dell’attrezzatura chirurgica ma anche dell’intero ambiente operatorio nel quale l’intervento ha luogo”[13].
La Corte afferma, che in un caso di infezione batterica contratta in ambiente operatorio, la struttura sanitaria risponde anche dell’opera dei terzi della cui collaborazione si avvale, ai sensi dell’art. 1228 c.c.[14]
Pertanto, si afferma la necessità, da parte della struttura sanitaria, di una particolare attenzione alla sterilità di tutto l’ambiente operatorio, proprio perché l’insorgenza di un’infezione del genere non può considerarsi un fatto né eccezionale né difficilmente prevedibile.
Dimostrata, pertanto, l’effettiva sussistenza del nesso causale fra l’insorgere dell’infezione ed il ricovero, sarà quindi compito della struttura dimostrare l’inesistenza del nesso causale tra ricovero ed infezione nosocomiale, eventualmente fornendo la prova rigorosa della compiuta attività di sterilizzazione nel caso concreto, ovvero della riconducibilità della malattia ad un fattore esterno che rendeva impossibile un corretto adempimento ai sensi dell’art. 1218 c.c.
Il giudice di merito, al fine di verificare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento di danno, deve applicare il modello di ricostruzione dello stesso fondato sul giudizio di probabilità logica, o del più probabile che non. “Alla stregua di tale criterio, occorre verificare, sulla base di un ragionamento ipotetico di natura controfattuale, la rilevanza eziologica dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che la struttura avrebbe dovuto tenere sarebbe stata in grado di impedire o meno l’evento lesivo, secondo un criterio appunto probabilistico e tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità”[15].
Inoltre, si rammenta che “se è ben vero che la prova del nesso causale tra il comportamento dei sanitari e l’evento dannoso deve essere fornita da chi agisce per il risarcimento dei danni, essa deve essere fornita in termini probabilistici, e non di assoluta certezza”[16].
Per completezza espositiva, in tema di emotrasfusioni, si sottolinea che la Giurisprudenza è costante nel ritenere che “nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un’infezione in conseguenza d’una emotrasfusione, e la struttura sanitaria, ove quest’ultima venne eseguita, non è onere del primo allegare e provare che l’ospedale abbia tenuto una condotta negligente o impudente nella acquisizione e nella perfusione del plasma, ma è onere del secondo allegare e dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le leges artis che presiedono alle suddette attività”[17].
- Il rapporto tra paziente e Struttura Sanitaria e gli effetti protettivi in favore dei terzi.
Al fine d’una completa trattazione in tema di responsabilità medica, appare opportuno precisare quanto segue: come noto, l’art. 1372 c.c. assume che “il contratto ha forza di legge tra le parti”[18].
Orbene, l’accettazione del paziente in una struttura sanitaria, comporta il sorgere di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità.
Sulla base di questo contratto atipico, la struttura sanitaria deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini di un ricovero o di una prestazione sanitaria specialistica, è tenuta ad una prestazione complessa che non si esaurisce nell’effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, tra le quali – ad esempio – la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di tutte quelle latu sensu alberghiere[19].
Sulla scorta di tale argomentazione, è evidente come, con riguardo ad alcune situazioni, il contenuto del contratto di spedalità è caratterizzato da prestazioni peculiari, in virtù delle quali gli obblighi di diligente assolvimento nascono non soltanto nei confronti del paziente ricoverato, bensì anche nei confronti dei terzi.
Infatti, con riferimento al ricovero di una gestante presso una struttura sanitaria, il contenuto del contratto di spedalità si caratterizza per la peculiarità della prestazione, relativa non solo all’assistenza del parto, ma, altresì, a tutte quelle attività necessarie a dare piena tutela alla salute del nascituro.
Ciò, consente di qualificare detto rapporto al pari di un contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi.
Un caso paradigmatico in cui la figura ha trovato applicazione è quello della omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata. In queste ipotesi, la Cassazione ha stabilito che, a fronte dell’inadempimento del sanitario, che non ha correttamente adempiuto l’obbligazione assunta verso la gestante, il padre del bimbo può chiedere, ex contractu, il ristoro dei pregiudizi patiti.
Secondo l’insegnamento della Corte, il contratto con effetti protettivi verso terzi trova la sua ragion d’essere nella circostanza che il terzo e lo stipulante hanno un medesimo interesse.
Si sottolinea come “in tema di risarcimento del danno da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale”[20].
Tale ricostruzione, tuttavia, è possibile esclusivamente con riferimento al contratto della gestante con la struttura sanitaria, mentre non può essere utilizzata in fattispecie diverse da questa. Infatti, non vi sarebbe motivo di riconoscere azione da contratto al terzo che non abbia un interesse identico a quello dello stipulante tale da giustificare gli effetti protettivi.
La Giurisprudenza della Suprema Corte, difatti, è costante nell’assumere che “deve escludersi che i congiunti del paziente danneggiato in ambito sanitario possano fruire del termine prescrizionale decennale correlato alla responsabilità contrattuale medica. La responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati iure proprio dai congiunti di un paziente danneggiato – o deceduto – infatti, è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall’altro i parenti non rientrano nella categoria dei terzi protetti dal contratto, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale i terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale, come avviene specificatamente nel contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione”[21].
Comunque, ciò non vuol dire che i prossimi congiunti del creditore, ove abbiano subito in proprio delle conseguenze pregiudizievoli, quale riflesso dell’inadempimento della struttura sanitaria, non abbiano la possibilità di agire in giudizio per ottenere il ristoro di tali pregiudizi. “Il predetto inadempimento, tuttavia, potrà rilevare nei loro confronti esclusivamente come illecito aquiliano ed essi saranno dunque legittimati ad esperire, non già l’azione di responsabilità contrattuale (spettante unicamente al paziente che ha stipulato il contratto), ma quella di responsabilità extracontrattuale, soggiacendo alla relativa disciplina, anche in tema di onere della prova”[22].
All’uopo, si rammenta che nel nostro Ordinamento non è configurabile un diritto a non nascere (o a non nascere se non sano), come si desume dal combinato disposto degli artt. 4 e 6, L. 194/1978. Infatti, le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante e non in sé e per sé considerate.
Inoltre, il diritto di non nascere sarebbe un diritto privo di titolare (adespota), poiché, ai sensi dell’art. 1 c.c., la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita[23]. Ne consegue che il danno da lesione del diritto a non nascere se non sani non è risarcibile[24].
- Profili processuali della responsabilità medica.
Come predetto, la Legge Gelli Bianco ha disciplinato la materia della responsabilità medica e sanitaria in ambito civilistico non solo da un punto di vista sostanziale, ma anche procedurale.
Infatti, l’art. 8[25] della predetta Legge stabilisce che le azioni risarcitorie in materia di responsabilità sanitaria possono essere esercitate previa proposizione del ricorso per consulenza tecnica conciliativa ex art. 696 bis c.p.c.
Il medesimo articolo fa salva, per colui che agisce in giudizio, la possibilità alternativa di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5, comma 1-bis, D. Lgs. n°28/2010.
Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private (D. Lgs. n°209/2005)[26].
Inoltre, le strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d’opera.
Ai sensi dell’art. 12, L. 24/2017, infine, il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione, nei confronti dell’impresa di assicurazione che presta la copertura alle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private e all’esercente la professione sanitaria[27].
[1]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1218&art.versione=1&art.codiceRedazionale=042U0262&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.idGruppo=151&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2
[2]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=2043&art.versione=1&art.codiceRedazionale=042U0262&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.idGruppo=258&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2
[3]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=147&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1173&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0
[4] Cass. Sez. III, n°10050/2022.
[5] Cass. Sez. VI, n°21939/2019.
[6] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg
[7] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg
[8] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 111.
[9] Cass. 5.07.2017 n°16503.
[10] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 725.
[11]https://www.ccmnetwork.it/documenti_Ccm/prg_area1/Inf_Oss/Normativa_naz/Circolare52_1985.pdf
[12] “Si definiscono così infatti le infezioni sorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente né erano in incubazione”. Così, Tribunale di Siena, Sentenza n.1199/2017.
[13] Corte di Cassazione, Sentenza n. 17696/2020.
[14]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1228&art.versione=1&art.codiceRedazionale=042U0262&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.idGruppo=151&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2
[15] Cass. n°21530/2021.
[16] Ex multiis, Cass. n°18392/2017, Cass. n°3704/2018 e Cass. n°27606/2019.
[17] Cass., Sez. VI, n°10592/2021.
[18]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1372&art.versione=1&art.codiceRedazionale=042U0262&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.idGruppo=171&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2#:~:text=1372.,per%20cause%20ammesse%20dalla%20legge.
[19] C.f.r. Tribunale sez. I – Milano, 03/09/2019, n. 7958.
[20] Cass., Sez. III, n°19151/2018.
[21] Cass., Sez. III, n°14471/2022.
[22] Cass. Civ., Sez. III, n°6386/2023.
[23] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 109.
[24] Cfr. Cass. n°25767/2015.
[25] https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2017;24!vig=~art8
[26] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 723.
[27] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 724.
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