1. Profili generali.

A’ sensi dell’art. 1655 c.c., l’appalto è “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro[1].

Esso è, quindi, un contratto bilaterale  a forma libera, il cui oggetto risiede nella prestazione, dietro corrispettivo, di un determinato risultato, il cui rischio economico è esclusivamente a carico della parte titolare di un’impresa, che è si obbligata a fornirlo.

La nozione di appalto designa, quindi, un tipo di contratto articolato in due sub-figure: appalto di opere e appalto di servizi, entrambe riconducibili allo schema romanistico del do ut facias [2]. Nello specifico, nell’ambito della prima sub-figura, la prestazione caratterizzante è costituita dalla realizzazione di un’opera a fronte del pagamento di una somma di denaro, mentre, nell’ambito della seconda, ad emergere è chiaramente la prestazione di un servizio a vantaggio del committente, il quale sarà, anche in questo caso, chiamato a corrispondere una somma di denaro per il servizio ricevuto [3].

Detto contratto rientra nello schema dei contratti commutativi, e non aleatori. Infatti, l’entità della prestazione è determinata o determinabile in base a criteri prestabiliti e non in base a fatti futuri ed incerti[4].

Orbene, sulla scorta della nota – ed in via di superamento – distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato, la prestazione dell’appaltatore è stata sempre considerata di risultato. L’appaltatore, infatti, “mediante l’organizzazione dei mezzi necessari e la gestione degli stessi a proprio rischio, promette alla controparte di conseguire l’opus specificatamente pattuito[5].

Il requisito dell’organizzazione imprenditoriale, desumibile dal citato art. 1655 c.c., postula che l’appaltatore debba disporre di un’organizzazione di mezzi necessari, per assolvere l’obbligazione assunta e per raggiungere il risultato promesso. È proprio sulla scorta di tale elemento che, come sarà meglio specificato nel prosieguo, è possibile distinguere il contratto d’appalto dal contratto d’opera, disciplinato dall’artt. 2222 e ss. del c.c. Difatti, la differenza fondamentale tra appalto e contratto d’opera va individuata nella qualità di imprenditore commerciale del contraente cui siano stati convenzionalmente commessi l’esecuzione dell’opera o lo svolgimento di un servizio.

  1. L’esecuzione del contratto di appalto.

Nell’appalto, l’obbligazione verso il committente consiste nell’esecuzione dell’opera mediante un’organizzazione a carattere d’impresa. In via generale, si può affermare che l’appaltatore è tenuto ad eseguire il contratto:

  • in conformità alle condizioni stabilite nel contratto stesso;
  • secondo le regole dell’arte.

L’obbligazione che fa capo all’appaltatore può essere definita come un’obbligazione tecnica. Infatti, l’osservanza delle regole tecniche fa parte del contenuto del contratto stesso, ancorché non sia ivi stata specificatamente dedotta. Con l’espressione “regole dell’arte”, invero, si intende il complesso delle norme e delle regole proprie di un determinato campo di attività, frutto dell’esperienza e della tecnica, vigenti nel tempo e nel luogo in cui la prestazione deve essere eseguita, salva diversa pattuizione.

Al pari di ogni altra obbligazione, anche quella assunta dall’appaltatore soggiace alla regola di cui all’art. 1176, comma 1, c.c., secondo cui: “nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”. Sennonché, l’art. 1176, comma 2, c.c., aggiunge che: “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata[6]. Orbene, poiché, come anzidetto, l’obbligazione dell’appaltatore è a carattere tecnico, secondo l’opinione dominante in dottrina essa deve essere parametrata alla diligenza ed alla perizia necessarie nel caso concreto, e secondo il parametro di cui all’art. 1176 comma 2 c.c.

Entrando nello specifico delle obbligazioni a carico delle parti contrattuali, l’appaltatore, da una parte, deve fornire la materia necessaria al compimento dell’opera, è tenuto a dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da questo fornita, ed è tenuto alla garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera stessa. Il committente, dall’altra parte, a fronte dell’obbligo dell’appaltatore di eseguire l’opera od il servizio in conformità alle condizioni contrattuali, ha l’obbligo di fornire e di compiere tutte le attività necessarie ed opportune affinché l’appaltatore possa eseguire le prestazioni oggetto della sua obbligazione (c.d. consegna dei lavori)[7]. Egli, inoltre, prima di ricevere la consegna dell’opera compiuta, ha diritto di verificare la stessa; altresì, deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta e, in caso di vizi o difformità dell’opera può chiedere che siano eliminati o, nei casi più gravi, che il contratto sia risolto.

A’ mente dell’art. 1659 c.c.[8], inoltre, l’appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell’opera se il committente non le ha autorizzate. In particolare, si rammenta che le variazioni non previste nel progetto, ove strettamente necessarie per la realizzazione dell’opera, possono essere eseguite dall’appaltatore senza la preventiva autorizzazione del committente. In tal caso, tuttavia, ove manchi l’accordo tra le parti, spetta al giudice accertarne la necessità e determinarne il corrispettivo. Altresì, nel caso in cui il corrispettivo d’appalto sia stato stabilito senza alcun riferimento alle opere ulteriormente sopravvenute e realizzate, il prezzo delle necessarie variazioni integrative dovrà essere determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1660 c.c.[9]

Come predetto, l’appalto rientra nella categoria dei contratti commutativi, in cui le reciproche prestazioni delle parti sono – tendenzialmente – equilibrate. All’uopo, al fine di adeguare le vicende del rapporto all’esigenza di mantenere quanto più integro l’equilibrio economico tra le prestazioni dedotte, si rammenta l’art. 1664 c.c., rubricato “onerosità o difficoltà dell’esecuzione”, che individua due ipotesi di sopravvenienze rilevanti nell’appalto[10].

La prima ipotesi riguarda l’imprevedibile aumento o diminuzione del costo dei materiali o della manodopera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto. In questo caso, l’appaltatore – in caso di aumento – ovvero il committente – in caso di diminuzione – può ottenere la revisione del prezzo in misura proporzionale alla differenza eccedente il decimo.

Proseguendo, l’art. 1664 c.c. contempla l’ipotesi della c.d. “sorpresa geologica”, ossia la situazione in cui fattori di carattere naturale inerenti al suolo ed al sottosuolo (cause geologiche, idriche o simili), rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore. In tali casi, allo scopo di salvaguardare la continuità del rapporto e di riequilibrare il sinallagma contrattuale, il Legislatore riconosce all’appaltatore il diritto ad un equo compenso, rimettendo la relativa quantificazione al prudente apprezzamento del giudice[11].

  1. La verifica ed il pagamento dell’opera.

Al termine dei lavori, il committente, prima di riceverne la consegna, ha il diritto di verificare l’opera compiuta. Detta verifica, che va distinta dal c.d. “collaudo” vero e proprio, consiste nell’ispezione materiale dell’opera, mentre il collaudo è la dichiarazione finale con cui il committente annuncia il risultato della verifica.

Tale attività rappresenta, per il committente, sia un diritto, sia un onere. Infatti, deve essere adempiuta dallo stesso non appena l’appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire. Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l’opera si considera accettata senza riserve.

Inoltre, si rammenta che il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge con l’accettazione dell’opera da parte del committente, e non già al momento stesso della stipulazione del contratto.

  1. La responsabilità dell’appaltatore.

Dal contratto di appalto possono derivare le seguenti forme di responsabilità:

  • per vizi e difformità dell’opera, nei rapporti interni tra appaltatore e committente;
  • nei confronti di terzi.

In primis, infatti, ai sensi dell’art. 1667 c.c.[12], l’appaltatore è responsabile per le difformità e i vizi dell’opera, a meno che il committente abbia accettato la stessa e le difformità o i vizi fossero da lui conosciuti o riconoscibili (purché non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore).

Il committente deve denunciare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. Tale denuncia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o vizi o se li ha occultati. L’azione si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera.

La denuncia è un atto a forma libera, salvo patto contrario. Pertanto, può essere effettuata oralmente e non è necessario che contenga una analitica elencazione dei vizi dell’opera, essendo sufficiente una sintetica contestazione dei vizi.

Nello specifico, appare opportuno sottolineare che “ai fini della decadenza dal diritto di far valere la garanzia per i vizi dell’opera, il dies a quo del relativo termine coincide, ai sensi dell’art. 1667, comma 2, c.c., con il giorno della scoperta dei vizi, che presuppone la consegna dell’opera[13].

Qualora, tuttavia, l’appaltatore riconosca la sussistenza dei vizi della prestazione eseguita e, ammettendo la propria responsabilità, assuma l’impegno di eliminarli, tale dichiarazione unilaterale “si configura come proposta di novazione dell’obbligazione di garanzia[14]. Pertanto, ciò implica l’assunzione, da parte dell’appaltatore, di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa ed autonoma rispetto a quella originaria, soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale.

Qualora, nonostante i difetti, l’opera sia comunque idonea alla sua destinazione e non manchi di alcuna qualità essenziale, il committente, ai sensi dell’art. 1668, comma 1, c.c.[15], ha la scelta tra:

  • chiedere che i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore;
  • chiedere una diminuzione del prezzo proporzionale all’entità dei vizi ed al minor valore e/o rendimento che questi hanno provocato nell’opera.

In ogni caso, il committente può chiedere anche il risarcimento del danno.

Se le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può richiedere la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1668, comma 2, c.c. La risoluzione per inadempimento ha come effetto l’estinzione del contratto di appalto ex tunc, ossia con effetto retroattivo. Il committente viene quindi liberato dall’obbligo di corrispondere il prezzo e, qualora questo sia già stato tutto o in parte corrisposto, ha il diritto di ripetere quanto pagato.

Peculiare tipo di responsabilità a carico dell’appaltatore è, inoltre, quella prevista dall’art. 1669 c.c., rubricato “rovina e difetti di cose immobili[16]. Difatti, quando il contratto di appalto ha ad oggetto edifici o altre cose immobili destinate, per loro natura, a lunga durata, se nel corso di dieci anni dal compimento dell’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, la stessa rovina in tutto o in parte, o presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denuncia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denuncia.

A differenza dell’art. 1667 c.c., che ha natura contrattuale, l’art. 1669 c.c. configura un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c., essendo finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale[17]. Il rimedio previsto dall’art. 1669 c.c. è, quindi, il risarcimento del danno, con esclusione, dunque, degli altri tre rimedi previsti dall’art. 1667 c.c.[18].

Come anticipato, altresì, l’appaltatore risponde dei danni causati a terzi nell’esecuzione dei lavori, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato. Nel merito, sarà configurabile un’eventuale corresponsabilità del committente nei riguardi dei terzi esclusivamente in caso di specifiche violazioni di regole di cautela nascenti dal disposto dell’art. 2043, ovvero:

  • in caso di riferibilità dell’evento al committente per culpa in eligendo, per essere stata l’opera affidata a chi palesemente difettava delle necessarie capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione;
  • in caso di riduzione dell’autonomia dell’appaltatore nell’esecuzione del contratto, essendosi il committente ingerito nei lavori con singole e specifiche direttive, e concretandosi l’appaltatore in un mero nudus minister del committente stesso[19].
  1. L’estinzione dell’appalto.

Peculiare causa di estinzione dell’appalto, oltre a quelle tipiche previste per ciascun contratto, è il recesso da parte del committente, previsto dall’art. 1671 c.c.[20] Questi, infatti, in qualsiasi momento, può recedere dal contratto, indipendentemente dalla sussistenza di un “ragionevole motivo”. Egli, tuttavia, deve tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti, nonché del mancato guadagno[21].

Nel contratto d’appalto, infatti, il recesso, quale facoltà della parte di sciogliere il contratto, “prescinde in sé da eventuali inadempienze dell’altro contraente alle obbligazioni assunte, tanto nell’ipotesi di recesso legale di cui all’art. 1671 c.c., quanto nell’ipotesi del recesso convenzionale di cui all’art. 1373 c.c., fatta salva una diversa volontà delle parti[22].

  1. Appalto e contratto d’opera.

Al pari di quanto sopra accennato, appalto e contratto d’opera presentano molti aspetti in comune. Il contratto d’opera, disciplinato dagli artt. 2222 e ss. c.c.[23], è quel contratto in forza del quale “una persona si obbliga a compiere, verso corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”.

Le somiglianze con il contratto di appalto riguardano:

  • la corrispettività delle prestazioni;
  • l’autonomia e indipendenza del debitore della prestazione tipica;
  • l’assunzione del relativo rischio economico.

Lo stesso, come l’appalto, è un negozio essenzialmente oneroso. Infatti, il silenzio dei contraenti sul compenso non esclude che questo sia dovuto, poiché comporta che – in assenza di tariffe professionali o di usi – la sua determinazione sia rimessa al giudice.

Al pari di quanto avviene per l’appalto, ai sensi dell’art. 2227 c.c., qualora il prestatore abbia intrapreso la realizzazione materiale dell’opera o del servizio, il committente può comunque recedere dal contratto, tenendo indenne il prestatore delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno.

Se il prestatore d’opera non esegue la stessa secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale il prestatore d’opera deve conformarsi a tali condizioni. Trascorso inutilmente tale termine, il committente può recedere dal contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno[24].

Come nell’appalto, l’accettazione dell’opera da parte del committente comprende tre fasi distinte:

  • la verifica, ossia l’accertamento della corrispondenza dell’opera a quanto previsto dal contratto;
  • il giudizio;
  • la presa in consegna dell’opera, nel caso di esito positivo del giudizio.

L’accettazione dell’opera, pertanto, libera il prestatore da responsabilità per vizi facilmente riconoscibili, salvo che egli li abbia dolosamente occultati. Altresì, fa sorgere il diritto alla consegna, ed il diritto al corrispettivo del prestatore.

Il committente, ove riscontri difformità dell’opera, deve – a pena di decadenza – denunciarli al prestatore entro otto giorni dalla scoperta. L’azione si prescrive, in ogni caso, entro un anno dalla consegna.

In caso di difformità e vizi dell’opera, il committente, al pari di quanto previsto dal sopracitato art. 1668 c.c., può scegliere tra l’esatto adempimento di quanto concordato e la risoluzione del contratto, nel caso in cui i vizi siano di entità tale da rendere l’opera o il servizio inadeguati alla sua destinazione, e non si tratti di difformità emendabile agevolmente.

Venendo ora al discrimine tra i due contratti, la differenza è rinvenibile nella Relazione al Codice civile, ove si legge: “la caratteristica essenziale che ha permesso il differenziarsi dell’appalto dalla più semplice figura del contratto d’opera […] non è data dal risultato, che in entrambi è un’opera o un servizio, ma dal fatto che nell’appalto vi è un’organizzazione dell’impresa, la quale pone in secondo piano la prestazione di lavoro dell’appaltatore”.

In sostanza, ciò che permette di distinguere le due categorie contrattuali è la “diversa dimensione dell’apparato imprenditoriale, poiché l’appalto presuppone un’organizzazione di media e grande impresa, mentre il contratto d’opera coinvolge la piccola impresa, con l’ulteriore conseguenza che il prestatore d’opera non può mai essere una persona giuridica, ma esclusivamente una persona fisica o nella forma di società semplice, in nome collettivo, o di cooperativa[25].

Tale visione viene condivisa dalla giurisprudenza più recente, la quale afferma che “la differenza fondamentale tra appalto e contratto d’opera va individuata nella qualità di imprenditore commerciale del contraente cui siano stati convenzionalmente commessi l’esecuzione dell’opera o lo svolgimento del servizio. Nell’appalto l’obbligazione verso il committente consiste nell’esecuzione dell’opera mediante un’organizzazione a carattere d’impresa dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio; ricorre invece la figura del contratto d’opera se l’esecuzione della prestazione avviene con il alvoro prevalentemente proprio dell’obbligato o dei componenti della sua famiglia, pur con quale collaboratore, ma comunque secondo il modulo organizzativo della piccola impresa, desumibile dall’art. 2028 c.c.[26].

[1]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1655&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[2] V. Cuffaro, 2011, pag. 5.

[3] Roberto Panetta, Il contratto di appalto, 2016, pag. 1.

[4] D. RUBINO-G. IUDICA, 2007, p. 22 afferma che “l’appalto, pur non essendo un contratto aleatorio in senso tecnico giuridico, presenta però, specie per l’appaltatore, un’alea in senso meramente economico cioè la possibilità che il costo effettivo dell’opera o del servizio risulti poi maggiore del previsto o addirittura del prevedibile”.

[5] Roberto Panetta, Il contratto di appalto, 2016, pag. 12.

[6]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1176&art.versione=1&art.codiceRedazionale=042U0262&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.idGruppo=148&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2

[7] Rachele Rendo, Appalto, in “Contratti Commerciali”, 2012, pag. 45.

[8]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1659&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[9]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1660&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[10]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1664&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[11] Rachele Rendo, Appalto, in “Contratti Commerciali”, 2012, pag. 73.

 

[12]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1667&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[13] Cass., Sez. II, n°1748/2018.

[14] Cass. Sez. III, n°6670/2009.

[15]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1668&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[16]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1669&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[17] C.f.r. Cass., S.U., n°2284/2014.

[18] G. Giannattasio, 240 e ss: D. Rubino – G. Iudica, 476 e ss.

[19] Rachele Rendo, Appalto, in “Contratti Commerciali”, 2012, pag. 97.

[20]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=208&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=1671&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[21] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 659-660.

[22] Cass. Sez. II, n°17294/2006.

[23]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=283&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=2222&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0

[24] Massimiliano Di Pirro, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Simone, 2022, pag. 663.

[25] Rachele Rendo, Appalto, in “Contratti Commerciali”, 2012, pag. 13. F. Bacchini, 6; M. A. Livi, 388; F. Santoro-Passarelli, 986.

[26] Cass., Sez. II, n°27258/2017; Trib. Ferrara, 27 agosto 2020, n°459.